Monday 19 October 2009

Il tamburo da latte

Ho incorniciato e appeso in camera da letto questa foto
che è la prima cosa che vedo quando mi sveglio.

Vedete, io non sono questo blog. Sono quantitativamente molto più di questo adorabile siparietto dell'ego che è un blog, che vuole ansiosamente essere il best of. Irving Goffmann ci sguazzerebbe, nei blog. Giardini verdissimi e tosati con cura, appena appena declinati per rientrare negli standard di questa o di quella subcultura. Siamo tutti impegnati a definirci come individui singoli, pazzi pazzi, originali, e contemporaneamente cerchiamo disperatamente un gruppo di appartenenza. Che tu sia al circolo del tennis, che tu sia al Gran Galà, che tu sia su Facebook o che tu sia il ragazzino che non gioca mai a pallone e se ne sta in disparte, stai solo cercando il tuo posto e il tuo ruolo nella società.
Sono sicuro che anch'io, nella mia apparente sociopatia imperante, sto disperatamente cercando di definire la mia razza come animale sociale. La fortuna è che ogni individuo tende a reputare se stesso degno di un qualche interesse proprio perché non riesce a conoscersi, ad auto-esplorarsi fino in fondo, e se ci prova trova infiniti rivoli di possibilità, spesso in contraddizione tra loro, e tutto questo sbattersi per capirsi fa sembrare l'esistenza meritoria di essere vissuta. Naturalmente l'esistenza è meritoria di essere vissuta per se, senza alcun bisogno di legittimarla. Ma anche quest'ansia di legittimare tutto è tipicamente umana. Un sasso nelle viscere della terra non cerca di darsi e dirsi un perché. E per questo lo invidiamo un sacco, un sasso.

Di conseguenza, quando ho cominciato a suonare la batteria, ho tratto grande beneficio fasullo dal domandarmi "ehi, ma perché vuoi suonare la batteria?" . Il post precedente è un esempio di blando tentativo di definire un perché di questo tipo. Polistrumentista da spiaggia? Ok, è una spiegazione un sacco simpa. Ma da allora me ne sono date altre, di volta in volta in volta collocate dalla mia mente infinitamente protesa alla classificazione come "serie", "facete", "mistiche", "eccetera".

Spiegazione salutista. Mi sono messo a suonare la batteria perché ho smesso quasi qualsiasi altra attività fisica. Pestare come un dannato su un drum kit (di plastica e gomma, ricordiamolo - è il drum kit controller di Beatles Rock Band, non una batteria vera) fa sudare, rende il piede e il polpaccio destri doloranti, offre insomma una percezione del sé.
E stiamo già virando verso la bolina della spiegazione mistica. I suoni percussivi interessano i chakra bassi, la radice del proprio Vero sé, l'unica cura possibile contro i voli pindarici, contro gli eccessi dell'ego che ci rende "tutta testa". E invece c'è bisogno di essere come alberi fronzuti, ben radicati al suolo, sebbene con le fronde più alte che bucano le nuvole. Misticheggiando, è chiaro anche che il ritmo di batteria è come un mantra, e infatti mentre si suona ritimicamente la performance beneficia dall'assenza di pensieri, mentre, sei ci si sofferma a cristallizzare impressioni e sensazioni in pensieri più strutturati, il ritmo naturalmente s'inceppa.
Rifacendosi agli insegnamenti di G.I. Gurdjieff, poi, va detto che l'indipendenza tra gli arti cui costringe un drumming di un certo livello rappresenta un'ottima cura contro l'assenza da noi - è percependo le nostre parti come indipendenti che riusciamo a vederne l'unitarietà complessiva.

Tutte interpretazioni possibili. Grazie tante - sono interpretazioni. Per forza che sono possibili. Ma la realtà? La realtà non la so, così come non so la batteria. So che sapere sempre di più la batteria non mi farà sapere sempre più la realtà. Ma so che, in questo momento, ha il potere di togliermi i pensieri in merito a cosa sia o cosa non sia la realtà. Bang. Via tutto. Bang. Bang. Bang. La rullata di Come Together. Tum tum takatatak, tukututukututuktum tum tum ecc ecc. Non riesci veramente a distrarti, è già molto se riesci a pensare "rullata". E' il vantaggio di non avere dimestichezza alcuna con lo strumento. Puro apprendimento. Imparare serve a questo, suppongo. Ad assorbire i pensieri superflui che brufolano e grufolano nel porcile della mente. Non esiste il topexan definitivo - a parte la lobotomia o l'oppio - ma è bello che esistano infinite cure temporanee all'eccesso di mentale. Oggi è la batteria, domani chissà. Infinitamente approssimativi, scostanti, volubili. E' evidente che stiamo cercando tutti qualcosa, e che lo stiamo cercando con tutti i mezzi. Bang. Bang. Bang. E meno male che non è di latta, il tamburo da latte, sennò poi li senti i vicini che lo sentono, e che sicuramente non estimano né Grass, né i Beatles. E' così difficile scrivere in un blog del fatto che, sostanzialmente, bisognerebbe scrivere di meno in un blog e picchiare di più sul rullante, con un piglio incurante, alla ricerca del non-sé(nso).
Sicuramente sarebbe meglio andare giù pesante sul rullante che non nei post, che richiederebbero un po' di leggerezza e di stupidità.

1 comment:

Anonymous said...

Già, già ... l'eccesso di mentale riduce la mente a un vero cesso.
Solo un Big Bang potrebbe rifarne una tabula rasa pacificata. Ma forse è meglio tenersi il porcile, ripensandoci.