Tuesday, 20 September 2022

Il giorno più felice della mia vita

1987. "Bolfo #1" (particolare). Ritrovato da pochi giorni. 

Un appunto. 

Esattamente trentacinque anni fa, il giorno più felice della mia vita. Questo dicono i miei scarni diari del 1987. E in questi termini ho conservato la memoria del 20 settembre 1987. Un'impressione sviluppata in tempo reale e così annotata all'epoca, non una constatazione postuma. Ex post, mi sono limitato a non smentire, nella mia mente, la mia percezione-fattasi-ricordo di quel giorno.

Cos'è successo il 20 settembre 1987? Avevo tredici anni, ero reduce da un'estate che aveva per me rappresentato l'apice delle montagne russe emozionali. Una cotta furibonda, di quelle che ti plasmano e condizionano la vita per sempre. Una ragazzina determinata, che magari inconsciamente già lo sai che non può durare e checcaspita abbiamo io 13 lei 12 anni eccetera. Ma sai anche che, d'ora in poi, in tutte le ragazze cercherai il carattere, l'arguzia, lo humour, e se vogliamo dirla tutta l'assenza di quella sovrastruttura patriarcale interiorizzata. 

Quindi. Estate del primo innamoramento violentissimo. C'è tutto quello che mi piaceva, incluso il fatto che lei, a metà estate, mi rivela che con l'inizio dell'anno scolastico avrebbe cambiato scuola, per finire dall'altra parte della città. Potremmo stare a discutere che Trieste è uno sputo e "dall'altra parte della città" è gestibilissimo per un tredicenne, ma io volevo il dramma sepolcrale, l'impossibile in cui crogiolarsi, quindi abbracciai il sordido destino e passai il successivo anno di merda che so. Perché volevo così. Perché l'estasi del martirio fantozziano era il mio credo. Fantozzi romanzo, prego, recuperato a casa di mio zio. 

Ma non è questo il punto dell'appunto. Per l'appunto il punto arriva alla fine dell'estate. Quasi l'ultimo giorno di quell'estate. Il penultimo. Era il 20 settembre di un'estate lunga e calda, tanto che eravamo ancora al mare, io, il mio amico Vanni, sua madre e la Ragazza. Che non era la mia ragazza, tutta quell'estate si era infine conclusa in nulla di fatto, nonostante un'evidente simpatia reciproca, una corrispondenza di pudici sensi, ma con lo spettro dell'Eterna Separazione Imminente mica mi metto a fare dichiarazioni o timetticonme eccetera, dai. Un po' di indegnità. Questo senso di les jeux sont faites, tuttavia, ebbe in quel 20 settembre un risvolto a me ancora ignoto fino a quel punto nell'esistenza. 

Era domenica, il giorno dopo la scuola sarebbe incominciata, eppure lo stabilimento balneare Riviera era semideserto, essendo che eravamo il 20 settembre, essendo che la gente era entrata in quella brutta roba che oggi si chiama mindset e che insomma non si va mica al mare il 20 settembre. E dire che era una giornata dalla temperatura perfetta. L'acqua era fresca, ma creava una combo armonica con la temperatura dell'aria. Giocando poi in acqua. Un po' tutti assieme, io, Vanni, la madre di Vanni e la Ragazza e una palla. Un po' io, Vanni e la Ragazza. Un po' io e la Ragazza. Che lungo tutta quell'estate era stata manesca, come capita di essere a quell'età con chi ti piace, o anche con chi vuoi bullizzare, con tutte le sfumature intriganti nel mezzo. Ma quel 20 settembre la Ragazza non era manesca. Nella misura dei suoi gesti c'era un affetto che nessuna persona mi aveva dato fino a quel punto. La mamma il papà i cugini gli amici tutti: altro affetto. No, altro, altro, inedito, fresco, pacificante, eppure anche elettrico, eccitante, infervorente. Immagina: essere abbracciati in acqua da una ragazza, mentre stai giocando tra gli spruzzi e le tue risa, ed è un abbraccio non goffo, non rubato, non forzato, semplicemente una manifestazione diretta e onesta di quello che provi, una celebrazione fisica, e chimica, di un qualcosa nemmeno mai nato, né allora né mai, che scoppia prima che qualsiasi pensiero un po' coperto lo possa fermare. Insieme a te sto bene, qui e ora. E pazienza se domani altra scuola, altra stagione, altra vita, Bolfo. 

(Bolfo: il nome che avevo scelto per il mio alter ego fumettistico. Come il collare antipulci della Bayer. Tanto - pensai - quanto mai potrà durare un marchio di collari antipulci. Potrò diventare grande, avere successo con il mio fumetto "Bolfo" e nessuno si ricorderà dei collari. Che ovviamente sono ancora un brand di enorme successo della Bayer, perché big pharma vs fumetti amateur sempre 1:0.)

Bolfo, da par suo, quel giorno dismise la maschera fantozziana. E anche il collare antipulci. Solo quel giorno, davvero. Del tutto. Anche essere "sfigati" è un mindset. O solo un alibi. Una recita per non livellare la propria intelligenza emotiva. "Io cercavo un alibi/per restare nell'infanzia/e ci stavo anche riuscendo/ma ho incontrato te" recita una delle mie canzoni teen age amateur per la Ragazza. 

Così quel 20 settembre lo passammo io a essere me, lei a essere lei. Nemmeno con quella esclusività morbosa che a volte hanno i giovini piccioncini, grazie al curioso assemblamento della cumpa io - lei - l'amico - la madre dell'amico. Fu un melange cruciale a tenere tutto in equilibrio. Ed è questo, infatti.

Equilibrio. Misura. Temperanza.

Fu la prima giornata della mia vita in cui le emozioni vissero in un equilibrio perfetto. In cui i tumulti cangianti delle emozioni si acquietarono dall'alba al tramonto. Forse perché, nei mesi precedenti, troppi erano stati i clamori. E perché, nei mesi successivi, troppi sarebbero stati i dolori. Recite formative, scimmiottamenti propedeutici per temprare il carattere con microtraumi. Ma quel giorno lì, nell'occhio del ciclone dove si sfidano le perturbazioni del passato e del futuro, regnò la calma più sorprendente.

La sorpresa - ma lo realizzo probabilmente ripensandoci qui-e-ora, trentacinque anni dopo - fu che la pace non è qualcosa di asettico, di noioso, di immobile, di solitario. Può essere fluida, può coinvolgere più persone, può superare le correnti gravitazionali degli sbalzi d'umore per più di cinque minuti. La pace deve essere empatica. Deve celebrare il  discioglimento di te nel tutto, e questo tutto comprende i tuoi brothers and sisters. E sì, forse per arrivarci, a meno che di non essere davvero assai guru, devi pigliarti mazzate emotive adolescenziali per tutta l'estate prima. E poi stare lì a scuola a disegnare instant fumetti che celebrano la tua vita. La parte goffa e fantozziana, s'intende: non mi sarei mai azzardato a disegnare quel giorno lì, quello più felice della mia vita, il 20 settembre 1987. Però ora ci ho scritto sopra questo appunto, un po' stupefatto che nella vita possano passare tipo trentacinque anni da un determinato evento di cui serbo ricordi-cinque-sensi così vividi. 

Guardammo il sole tramontare sul mare, in silenzio, tutti e quattro, dal pontile in fondo al bagno Riviera. Un ultimo tuffo, nell'acqua che aveva ormai assunto più il livido colore della sabbia del fondale, che non quello del cielo - non più - azzurro. Come una visione di quel "mare nero" cantato in altri tempi, in altri lidi. 

Sulla sua Talbot Samba Bahia, la mamma di Vanni ci riportò in Gretta, il rione dove, per poco, ancora tutti e quattro risiedevamo. Ancora, in silenzio. Ora che il sole era tramontato, ora che il mare era nero, anche la quiete e il silenzio si stavano intorbidendo. La felicità non dura che un momento, di solito - oh, era durata tutto il giorno, e nella sua forma più radiosa. Deve pur calare il tempo su tutto questo.

Non ricordo infatti nulla della fine del viaggio. Dei commiati. Come salutai la Ragazza? La salutai? Feci qualche torsione fantozziana per scacciare con vigore quell'allure apollinea, insostenibile oltre? Non lo so. 

Nei trentacinque anni seguenti, però, "confesso che ho vissuto". E mi sono fatto un'idea, di come chiamare con onestà quel 20 settembre. Non "il giorno più felice della mia vita" ma "il primo giorno più felice della mia vita". Quello che mi ha fatto capire come funziona veramente. Di cosa è capace, al meglio delle proprie possibilità, l'essere umano.


Sunday, 12 November 2017

Non so bene perché, ma ho recensito
"Duets - Tutti Cantano Cristina"

Sei figona, Cri, non serve che cerchi di assomigliare a qualcun'altra!




Premessa. Siamo quelli che quando arrivarono le sigle di Cristina d’Avena, tutto sommato, ci dispiacque. Più che altro ci dispiaceva per la fine delle altre sigle, quelle Fonit Cetra e RCA, insomma quelle di Vince Tempera, Detto Mariano, Olimpio Petrossi eccetera.
Poi però ci siamo appassionati alla “forma sigla” di per sé. Poi ci è nata Linda che ora ha cinque anni e, appena appena guidata, è una grande divoratrice di sigle. Tutte, dai Cavalieri del Re a… Cristina d’Avena, appunto. Che ha un unico difetto: ha dovuto caricarsi sulle spalle, insieme a quell’altra oberata di Alessandra Valeri Manera, una quantità di sigle semplicemente impossibile nell’arco di trent’anni e passa. Voglio dire: è chiaro che ti ritrovi nel portfolio dozzine e dozzine di brani inascoltabili e interpretazioni dimenticabili. Ma se il talento c’è, e il talento in Cristina c’è, qualcosa si deve salvare per forza.


Così, da apocalittico anticristino mi sono poco a poco convertito in integrato. Non un “fan” come posso esserlo dei Rocking Horse. Ma un estimatore di questo e quel brano, quello sì, soprattutto chiudendo un occhio sui testi, sui troppi cori di bambini e concentrandomi sui compositori e sui musicisti.


Quindi ecco che, all’uscita di questo disco di duetti, mi son detto: proviamo a recensirlo, raccogliendo anche i commenti spontanei di figlia (“Linda”) e signora (“AdF”). Temevo, non ascoltando musica italiana pop da tre lustri circa, di trovarmi spaesato da musica e interpretazioni fantascientifiche e arrangiamenti disorientanti, ma a quanto pare la musica italiana è rimasta fossilizzata sotto una calda coperta nostalgica e non ho avuto grossi traumi, se non quello di ritrovarmi al cospetto del già sentito e già cantato. La maggior parte dei duettanti con Cristina mi sono sconosciuti, ma questo mi permette di valutare con serenità il peso del loro intervento.  


1.  Pollon, Pollon combinaguai (feat. J-AX)


Saggiamente si comincia con l’incipit originale in lontananza, come filtrato da una radio o da un giradischi, simboli del Tempo che Fu iconicizzato. Con un gusto della sorpresa da manuale, si inserisce a bomba J-Ax con un freestyle a tema Pollon che risulta insospettabilmente divertente e precisissimo nel citare le peculiarità del cartone, compresa la cocaina che sembra talco ma non è. Arriva Cristina che, essendo che siamo all’inizio del disco, fa più che mai la Cristina, ma ben contrasta con il ritmo sincopato che se ne sapessi azzarderei che è un raggaeton o comunque qualcosa di latineggiante ma non troppo.
E sei là che aspetti che torni J-Ax e invece, inspiegabilmente, tutto il resto del pezzo lo tira avanti Cristina. Lui torna solo alla fine per chiudere con una metariflessione sulle sigle dei cartoni che non passano mai di moda. E’ una celebrazione, questo CD e per quanto paraculaggine ci sta. “Ci sta”, possiamo anticiparlo, è un po’ un mantra di tutto il CD. Detto questo non credo che mi metterò ad ascoltare J-Ax, ma ci berrei volentieri una birra insieme (per parlare del suo coin-op autocostruito).


AdF: “Sembra impossibile ma avrei voluto più J-Ax”


2.  Nanà Supergirl (feat. Giusy Ferreri)


Giusy Ferreri  è un grande mistero della natura. Mi pare di ricordare che era tipo stimata come cantante, ma Amy Winehouse, di cui Giusy vuole essere timbricamente epigona,  canta meglio di lei anche adesso che è morta. Dizione della parola “super” incerta, altalenante e in generale insopportabile. Cristina molto bene, fedele all’interpretazione originale, non troppo leziosa, ma il timbro invecchiato di Cri è ancora meglio ora. L’arrangiamento è molto più mite e soprattutto nel middle 8 la fu chitarra elettrica non carica abbastanza. Ma c’è sempre stato nel brano di Cassano dei Matia Bazar un che di nostalgico che ha senso anche con un arrangiamento meno rock e più mellow.

AdF: "Perché Ferreri miagola sulle tronche?"



3.  L’incantevole Creamy (feat. Francesca Michielin)


Creamy senza intro orchestrale: possibile? Apparentemente sì, almeno per non copiare del tutto l’intenzione originale di Martelli senior. Non si capisce subito però che il pezzo voglia presto sfociare in una specie di eurodisco anni Novanta che non ha coraggio però di pompare quanto dovrebbe Se lo facesse, d’altro canto, la Michielin con la sua voce da educanda verrebbe spazzata via in un baleno. L’autotune generosamente asperso tanto su Cristina quanto su Francesca le rende a tratti indistinguibili - niente di male, anche se, di nuovo, si contravviene al nostro concetto di duetto in cui ciascuna dovrebbe apportare un contributo personale, piuttosto che fondersi sfociando nell'indistinguibile. Complessivamente un grande boh.

4.  Occhi di gatto (feat. Loredana Bertè)


Cos'è la perversione? È quando qualcosa ha chiaramente un problema di fondo che non solo non ci disturba, ma anzi, ci piace. “Me gusta”. Un mito della musica oramai in disgrazia (lo si capisce dal fatto che viene chiamata “diva” per evitare altri epiteti impietosi) che si presta a cantare una sigla dei cartoni. Funziona? Sì, ma non è abbastanza, funziona a livello di perversione, come un crossover tra due mondi impossibili. Girl power fuori tempo massimo per entrambe, non per la loro età, ma per la loro resa timbrica che non è sufficientemente graffiante mentre le immagini di Sheila, Tati e Kelly si sovrappongono alla quasi cougaraggine di Cristina e Loredana. “Agile scatto”, ma fino a un certo punto.


AdF: “Più che un duetto con la Bertè sembra un duetto con la Maionchi”
Linda: “Che voce roca, lo so che è una vecchietta”

5.  Kiss Me Licia (feat. Baby K)


Chi è Baby K? Lo ignoro, ok? Però, come nel caso di J-Ax, dispiace che non sia più presente nel brano (forse, riascoltandola, è una dichiarazione un po' fortina). Il groove half tempo rappettuso toglie al brano originale quella melensaggine da carillon pre-menarca (perdonatemi, fan, l’ho detto che non sono un fan, no?). Sì, l’alternanza strofa cantata strofa rap ci sarebbe stata anche qui. Banale? Prevedibile? Ok, ma questo è un disco di duetti con Cristina D’Avena, non di John Zorn che sperimenta con Laurie Anderson, è legittimo che certi canoni del duetto vengano rispettati.  

6.  Magica, magica Emi (feat. Arisa)


Magica Arisa. Sempre ignorando cosa faccia Arisa ai nostri giorni, non si può non constatare che il suo timbro vocale funzioni alla grande su un brano come questo, totalmente improntato sulla linea melodica cantilenante. L’arrangiamento è ottimo e toglie quell’eccesso “di genere” che aveva lo swing terzinato dell’originale. Il duetto è impostato con un’alternanza precisissima che ha un unico difetto “fa sembrare Cristina la nonna di Arisa (AdF)”. La differenza di timbro e di età si sente eccome - non che sia un male, anzi, in generale nel disco il detto “gallina vecchia fa buon duet” funziona.

7.  Mila e Shiro due cuori nella pallavolo (feat. Annalisa)


Un incipit reinventato sfocia in un arrangiamento notevolissimo, che attinge con equilibrio dalle migliori soluzioni pop/funk/disco degli ultimi quarant’anni. Difficile tenere fermi i piedi. Le voci di Cristina e Annalisa si fondono, a tratti un po’ troppo, ma il divertimento è costante e la dimensione corale da palazzetto dello sport rispettata in toto. Sempre, sempre così.


(AdF dissente profondamente perché odia la canzone, io invece amo quasi tutte le composizioni per Cristina create da Ninni Carucci, a parte quando l’hanno messo in una gattabuia per fare da solo tutte le musiche di quegli ignobili telefilm con le fettine panate)

8.  Jem (feat. Emma)


Qui è tutto abbastanza giusto ma troppo, troppo tiepido, anche l’arrangiamento, che sconta una inspiegabile freddezza di fondo - andava esaltato il rock, non il pop! Avremmo voluto una vera backing band, Emma Marrone se magna tutti con quella voce, compreso l’intero set di virtual instrument e la partitura midi. Cristo, la batteria, veramente. La sigla di Ninni Carucci è ottima e lo resta, ma ho perso un’altra occasione buona stasera, è andata a casa col pop la Marrone.

9.  I Puffi sanno (feat. Michele Bravi)


Miracolo di arrangiamento. Uno dei brani che odio di più nel repertorio di Cristina cambia pelle completamente diventando un techno rock veramente killer in ottica commerciale. Non so chi sia Michele Bravi, spero per lui che quel timbro da puffo tontolone sia dato da una patina di vocoder, sennò poveretti. Duetto con tutti i crismi, bello, in cui ciascuno dei duettant porta qualcosa.


AdF: “Topo Gigio?"
Linda: “Per me è 10!”

10.  Siamo fatti così (feat. Elio)


Elio è come Zappa o il Lou Reed anziano, può fare quello che vuole quando vuole. L’arrangiamento (blando) quasi electro non sembrerebbe lasciare spazio per un’interpretazione super teatrale, over the top, che aggiunge doppi sensi in tutti posti necessari (i.e. “liquido vitale”). Cristina fa perfettamente da contraltare, non perdendo la bussola mentre Elio sfarfalla di qua e di là. Benissimo. Il brano originale, composto da Massimiliano Pani, è uno dei suoi migliori in assoluto, non solo nelle sigle. Una di quella volta che non devi per forza specificare “il figlio di Mina” per dargli una qualche rilevanza, povero Paciughino.


Linda e AdF: “Per noi 9!”

11.  È quasi magia, Johnny! (feat. La Rua)


Sentimenti contrastanti. Mi hanno tolto i fiati all’inizio, sostituiti da un banjo midi della morte. Una pugnalata, il pezzo di Carucci sta in piedi principalmente per quell’inizio che dà tutta la spinta che serve… Ma nel tentativo di fare qualcosa di differente, in effetti, ci sta anche di rimuovere un sì potente incipit. Una galoppata techno tipo l’overture del Guglielmo Tell, con il sacrosanto momento half tempo sul “o ooo o o o oooo è quasi magia”. Non gli perdono di aver modificato la sequenza di accordi finali, ma pazienza. La Rua, chiunque sia, è perfetto per questo tipo di sound e Cristina canta meglio che nell’originale. Detto che il prodotto è ben confezionato, segnalo anche che è dall’altra parte dell’universo rispetto a ciò che mi piace, in termini di arrangiamento. Addio.

12.  Una spada per Lady Oscar (feat. Noemi)


Giuro non ho MAI sentito l’originale. Mi sono sempre rifiutato per fedeltà all’unica vera possibile sigla di Lady Oscar che esiste, quella di Cavalieri del Re. E, complice ‘sta Noemi, chiunque sia, se ne vengono fuori con un pezzo pop rock epico e travolgente. Alternanze, armonizzazioni, cavalcata quasi sinfonica, melodia convincente, i soliti scivoloni nei testi di Alinvest che probabilmente all’epoca scriveva venti testi al giorno, e dobbiamo pupparceli per l’eternità (il titolo è un palese moto d'odio della Valeri Manera, che spera di spingere l'ambigua Oscar verso l'eroina). Ma il brano è complessivamente uno dei migliori del disco: al netto che sia originariamente una sigla, eh, è proprio bello nell’ottica “pop italiano”.


13.  Che campioni Holly e Benji (feat. Benji & Fede)


Ah, l’altra sigla di Holly e Benji. Che arrangiamentone. Esaltante, radio friendly con dei finti archi spettacolari. Era già un duetto, tra Marco Destro e Cristina, ma anche sti due bravi cristi se la cavano, sempre ignorando chi siano. Senza coro di bambini il brano è un po’ meno sigla e un po’ più brano pop a tutti gli effetti. Convince, davvero un eccellente upgrade dell’originale.

14.  Sailor Moon (feat. Chiara)


Uno dei migliori brani di Cristina in assoluto, non semplicemente una sigla ma un capolavoro pop, l’ennesimo masterpiece di Ninni Carucci. The best just got better! Arrangiamento techno serrato, senza incertezze, senza pietà, un treno che parte per lo spazio gira intorno alla luna e torna indietro carico di emozioni. Un middle 8 con degli archi sintentici pazzeschi, che riescono nell’intento praticamente impossibile di farmi dimenticare la chitarra elettrica dell’originale, synthpad ovunque, atmosfere lunari assolutamente compatibili con il mood delle musiche originali dell’anime.


Linda: “Voto 57, anzi, 50 mille”

15.  Piccoli problemi di cuore (feat. Ermal Meta)


Spezziamo una lancia per Franco Fasano, ottimo compositore sanremese che per Cristina ha composto brani memorabili, ingiustamente trascurati in questo CD ("Un incantesimo dischiuso eccetera", "Pesca la tua carta Sakura" ecc ecc ecc). La sigla originale si portava dietro tutta la sanremaggine del caso, e funzionava. Funziona anche qui, ancora di più qui, con duetto uomo-donna che funziona perfettamente nel contesto dei “Piccoli problemi di cuore”, anche perché ‘sto Ermal Meta ha una voce pop importante (AdF: “Il  migliore Ron!”). Come l’originale parte morbida per poi diventare trascinante, qui più sul disco-groove che non pop ballad, roba da Alan Sorrenti. Unico elemento inspiegabile: Cristina, che pure modera il suo registro melenso lungo tutto il CD, qui invece spinge senza pietà, con tutti i birignao del caso, come nell’originale. Una scelta che da queste parti non capiamo, ma alla fine anche sticazzi, il pezzo è bello, molto bello.


16.  All’arrembaggio! (feat. Alessio Bernabei)


Tonnellate di autotune usato a sproposito, melodie già sentite, troppo sigla anni 2000 - cosa che in effetti è. Adf dice “tamarrata” e siamo tutti d’accordo che le tamarrate possono funzionare, ma questa non convince, tutto qua. (AdF sorpresa a sculettare sul brano, dopo aver detto “È becera” see ma intano balli EH!). Una volta di più ignoro chi sia il Bernabei, ma non mi farà gettare nel rusco i dischi di Demetrio Stratos, ecco.

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Morale? Volete la morale? È inutile. Sapete già cosa fare a prescindere, sulla base della vostra vita, della vostra fanboyaggine, fangirlaggine, whatever. La mia impressione è che gli unici che rischiano davvero di odiare questo progetto, complessivamente ben riuscito nella sua intenzione di paraculata pop sospesa tra passato e presente, siano i fan più duri e puri, quelli reazionari che non riescono a capire che “sono solo canzonette”, proprio come lo erano allora, e che lo status di “classici” per questi brani deriva soprattutto dal fatto che appartengono al nostro vissuto infantile, al netto che siano compositivamente validi o meno. Io dico sì a “Duets” con un po’ di leggerezza e di stupidità, pur con gli evidenti alti e bassi, senza nemmeno il bisogno di metterci dentro la favola bella di Cristina che è ormai un’icona tardiva/tardona pop irresistibile a dispetto degli anni e dei detrattori. E speriamo che la favola continui con Cristina a San Remo, con un pezzo scritto da Fasano/Cassano/Carucci.

Ultimo appunto naif: ma è tutto così autotuned il pop contemporaneo? Plz.

Monday, 27 June 2016

Tracce sul sentiero della memoria [parte 2]


Be', non potevo accettare di metterci un anno a pubblicare la parte 2 di questo articolo - troppo umiliante per me e per la razza umana in generale. Quindi eccolo qua. E se non avete letto la prima parte, eccola là. Senza quella, brancolerete nel buio senza capire che è sta bizzarra sequenza di robe facete.

13 I Mini Robots - Space Robot



Quindi, una volta che hai fatto Gakeen, che altro devi fare? Superarti, se ti chiami Vito Tommaso..Questo brano è semplicemente immenso.
Il testo. Come interpella l'ascoltatore. Volgi lo sguardo un momento in alto lassù / la in fondo dove i tuoi occhi non vedono più. Guarda l'inguardabile, pensa All'infinito, E' LEOPARDI, CAZZO! Ok, l'uso  di "giovanotti" è stucchevole, ma intanto mi è scoppiato il cuore in goolaaa, gooolaaaaa...
La musica? Fin dai due potenti, originalissimi accordi iniziali, si capisce che sarà una cavalcata in uncharted territories of the sigle. Rispetto a gackeen gioca più sull'unità di stile tra strofa e ritornello, non tanto in termini di melodia, perché lì lo stacco c'è (uno dei miei cambi di tonalità preferiti DI SEMPRE), quanto di groove complessivo. La voce maschile filtrata (che è, un flange?) che si sente chiaramente nel ritornello è probabilmente di Vito Tommaso himself, e il mix da master fatto da Bersanetti la tira fuori come non capitava nell'unica altra edizione su CD esistente. Il piano e la chitarra elettrica che dialogano con eleganza matematica e calore umano, proprio come un robottone giapponese deve saper essere. E l'obbligato di synth che va su e giù nelle sue discese ardite e le risalite?
E in tutto questo, c'è questa fantastica dizione da sigla per cui i robot sono robò. Ed è giustissimo così. Domo arigatò, mr. robò.


14 Daniel Sentacruz Ensemble - Pepper




Oh, pezzaccio. Se pensi che questi son quelli di Soleado non ti ci raccapezzi. Mai vista questa serie poliziesca. Pepper Policewoman? Mah. La musica si propone come la risposta discofunk a Starsky & Hutch, con fiati scatenati, un basso che slappa come fosse appena arrivato da Detroit, momenti con i soliti accordi di James Bond massì-hai-capito, nel ritornello c'è pure un clavinet trafugato da Stevie Wonder, poi arriva anche un pianoforte che non si sa mai, cori a profusione, voce uomo voce donna, violini-tensione. La professionalità è questo: magari non sto facendo "l'arte", è una sigla, ma la faccio al meglio e spendendoci comunque dei soldi. Lode a Ciro Dammicco, perché è il suoo arrangiamento che crea qui un piccolo classico dimenticato.
Si dice che negli anni Novanta venisse storpiata in "Popper, Popper" dagli estimatori di questa sostanza, ma l'ho in effetti inventato in questo istante.


15 Gianfranco D'Angelo - Vai con la bici


Be', non poteva andare bene per tutto il doppio cd, no? Mica c'erano solo sigle che parlavano ai bambini con un linguaggio musicale da grandi. In quegli anni ci si beccava anche tonnellate di sigle assolutamente Zecchino d'Oro compliant, con la variante "dialogo tra bambini e adulti". Qui l'adulto è Gianfranco D'Angelo, che tanto amavo da bambino, e tanto mi risulta insopportabile ora, solo a sentirlo voglio cambiare canzone. E lo faccio, con la consapvolezza che non l'ascolterò mai più. Eh. Ma poi io odio le mazurke, mi danno la senzazione che sta per tornare la guerra.

16 Omni - Green Line




Omni, ma anche Jean Pierre Posit, alias di Claudio Gizzi. Non mi dilungo sull'ennesimo musicista di talento con una storia tutta da scoprire che va da Visconti a Wahrol. Vi basti sapere che poi è finito a scrivere la sigla per "Agricoltura domani - Linea Verde", che ti aspetti delle zampogne e piva piva l'olio d'oliva, e invece Omni è un tifoso dell'elettronica spaziale e quindi si concentra sulla parte "DOMANI" del titolo piuttosto che su quella "AGRICOLTURA", venendosene fuori con una roba fuori di testa da viaggio intergalattico coi Daft Punk che hanno al massimo diriitto di pulire i posaceneri dell'astronave. Non so niente di Mario Maggi e del synth da lui inventato, l'mcs70, ma se i suoni che si sentono vengono da lì (Gizzi in altre occasioni ha collaborato con lui) questo signore è un altro gran ficone nella storia dell'elettronica italica. Resta la follia di associare l'agricoltura a 'sto trippone.
Per certi versi il brano più sorprendente e riscopribile della raccolta.


17 Superband - Fantaman



Dopo le sigle, intendo nel mio iter formativo musicale, sono passato senza passare dal via dritto agli anni Sessanta, alla Liverpool di Dougie, Meakin che guardava agli States ed è finito a Roma a fare figate (e dio sa se non meritava ancora più successo come interprete di quanto comunque ne ha avuto). Ascoltando la strofa di Fantaman  non c'è da stupirsene. Sembra anche un po' (un po'?) il groove di You're the one that I want da Grease. Meakin regna col suo cantato perfetto, con l'accento inglese che fa storia, con la risata satanica del dottor Zero che è leggenda. E com'è l'entrata de ritornello, che scioglie il ritmo serrato in una cavalcata pop rock dei buoni sentimenti? Praticamente la cifra stilistica dei Rockin' Horse. Adoro i cori e le seconde voci solo quando serve, cioè poco, perché Meakin fa tutto lui.



17 Superband - La forza del bene

[Eh! Non c'è mica su YouTube!]

L'usanza di mettere sul lato b dei singoli delle sigle un pezzo secondario scritto ad hoc per la serie, che ne affronti i temi sotto una differente sfaccettatura, sarebbe dovuto essere LEGGE. Come gli opening e gli ending jappi. Sentite questo brano, profuma di lato b finché volete, ma scorre gradevole. "Gradevole" è una categoria estetica che il mondo sembra voler dimenticare.

18 Manuel Manù - È strano, ti amo



E qui la madeleine è fulminante, roba sepolta chissà in quale anfratto della testolina. Sigla del programma "Fresco Fresco", che poi era il contenitore di roba altalenante per ragazzi di RAI1, poteva capitarti Mazinga Z ma anche Michele Strogoff, o Astroboy o magari Angelica, nella difficoltà dei programmisti a capire la logica di flusso e i tempi che sono sempre già cambiati quando pensi che stanno per cambiare. Io so che in un'edizione c'era Barbara d'Urso e che in quegli anni poi mi capitò non so come un "Playboy" in mano con la medesima Barbara d'Urso davvero molto giovane e discinta e cominciai a dubitare che il nudo fosse solamente una cosa naturale, e a sospettare che ci potesse invece essere un sottotesto alternativo. Una reazione, diciamo.
Ancora oggi, nonostante tutto, non riesco a scagliarmi come chiunque altro contro Barbara d'Urso. Diciamocelo: per quella foto di Playboy. E basta.
E questa sigla, be' sì, me la sono ricordata subito, appena sentita. Mi piace. Trovo che incarni con limpidezza il concetto di musica leggera. Il vuoto assoluto, l'innocuo, ma con una sartorialità musicale impeccabile, le doppie voci, un tappeto (be', uno zerbino) elettronico ma non troppo, le rime baciate, la melodia che sa cosa fare e dove andare e quando, addirittura, stupire. Un loffio così ben definito da avere senso.


19 Andrea Lo Vecchio e i Piccoli Cantori - Sally sì, sally ma


Ah, Andrea Lo Vecchio. Altro nome troppo grosso per questo già troppo lungo papiro. La voce, per i "siglari", riporta inevitabilmente a Bia, ma come paroliere le ha fatte anche più grosse, il nostro, da Gundam a Astroganga a... Sally (davvero, skippiamo tutto il discorso pop regolare, vecchioni, ho scelto bach e tutto il resto). Ed è un bel brano, Sally sì Sally ma, una marcetta rock con la verve de "Il trenino" di De Sica o di "The Monkey", che avrei addirittura attribuito allo stesso autore (mentre le musiche sono di Roberto Soffici e i testi di Albertelli, in quel caso - ma là era tutto un giringiro e Lo Vecchio e Soffici hanno altre volte collaborato, quindi mah!).
Per il resto ho il ricordo di un periodo in cui guardavo Sally e la principessa Zaffiro a casa di una mia zia che aveva la tivù in camera da letto, cosa impensabile all'epoca a casa mia, quindi thug life, sdraiato a letto a guardare la tivù tipo a sei anni. Wow.


20 I Piccoli Cantori feat. Nadia Biondini - Maghetta Sally


Eccotelo che torna, il buon Vito Tommaso, per la sigla finale di Sally. Ellallà, addirittura una opening e un ending, roba da profonda giappolandia. La storia  è intricata, tanto che questo brano fu sì sigla finale ma non lato B del singolo corrispondente, dove finì invece il pezzo descritto qui a seguire. Il brano in sè è grazioso come si compete a una majokko, anche se la signature figaggine di Vito Tommaso emerge proprio in pochissimi accordi.


21 Sally la maga


Vito Tommaso poetico. Se il mondo fosse in mano ai bambini, ci sarebbe parecchio casino, ""ma la guerra non ci sarebbe più". Dai, roba che un po' mi commuovo come in certe lennonate d'antan. La musica non pompa, ma povero Vito Tommaso, non è che poteva sparare roboanti cori robotici anche nelle serie più delicate. [Su YouTube ho trovato questa versione suonata Live da Vito Tommaso a Lucca, 2009 - cercate anche gli altri brani di quel live, nonché quelli del 2008: altri momenti fantastici che ho ben pensato, per puro snobismo, di perdermi].


22 Paola e Federica - Gioventù



E quando sei già satollo di sigle che non ne puoi quasi più, arriva la celeberrima mentina montypythoniana, che è però in questo caso è grossa come l'ennesima madeleine proustiana. Lo guardavo, questo programma contenitore, ah se lo guardavo! Amavo la sigla, mi sembrava la cosa più poetica mai concepita. La leggiadria. Musica di Tempera e testi di Albertelli, un duo capace, con Mina, di portarmi le lacrime agli occhi. Ma se c'è una madeleine che è invecchiata male è proprio Gioventù. D'altronde la gioventù invecchia, soprattutto per colpa delle due interpreti, probabilmente le figlie (gemelle o pare ammè?) di qualcheduno che ci teneva a farle cantare. E hanno cantato. Con tutti i tipici artifizi possibili all'epoca per mascherare le voci, comunque si sente questo mugolio stereo che faticosamente segue gli ottimi saliscendi melodici escogitati da Tempera.
Ma il vero dramma è il testo di Albertelli, che probabilmente ha avuto cinque minuti per scriverlo mentre fumava un cigarillo sul balcone.
Fino al vento del nord, metrica a parte (excalibùr?) ancora ci stiamo.
Vento del est è parecchio meh, ambizioso nell'unire marco polo, te' e zingari.
Vento del sud: cominciano i grossi problemi metrici e contenutistici.
Sul vento del west Albertelli cala le braghe: "sai di oro e saloon, giri come un computer" è evidentemente una frase scarabocchiata su un foglietto nell'ascensore della EMI, cinque secondi prima di incontrare le interpreti.
Però l'arrangiamento... Eh, resta uno di quei pasticcioni con gli archi alla James Last anni Settanta che comunque gli si vuole bene. Come non volere comunque un po' bene alla propria gioventù, di cui queste sigle sono lo specchio? Nel mio caso, naturalmente, specchio vecchio: poi voialtri avrete tutto il tempo, tra un po' di anni, di rimpianger Giorgio Vanni.

Extra Track: Vito Tommaso feat. Ilaria Andreini + un botto di gente - Peline Story Live


Dai, non si può chiudere con Paola e Chiara, pardon, Federica. Voglio chiudere con il più bel brano mai usato nella storia del mondo della vita delle sigle del tutto di sempre e per sempre. Una storia anche bella da raccontare, che va da vecchi leoni del progressive rock italiano a Georgia Lepore che tutto sommato non ricorda volentieri il periodo. Quindi niente, ascoltatela e basta, godetevi l'interpretazione di Ilaria Andreini e ripetete il mantra: "lunga è la tua strada, ma ce la farai". Un abbraccio.


Thursday, 20 August 2015

Tracce sul sentiero della memoria [parte 1]


Il primo, sostanziale regalo non è nemmeno il doppio CD che ho ricevuto in regalo, quanto che la motivazione sia stata "come ringraziamento per le cose che fai", riferito agli streaming videoludici che nell'arco di quest'anno abbiamo portato avanti Fabio Bortolotti ed io sul suo canale. Sicchè Ivan Bersanetti, consulente tecnico (oltre che socio fondatore) dell'Associazione Culturale TV-Pedia (nonché di Tivulandia) mi ha regalato questo CD che è una assoluta rarità, visto che non è nemmeno in vendita, bensì un cadeau originariamente riservato ai membri all'associazione culturale omonima.
Che CD. No che non andrebbe guardato, in bocca a caval donato. Ma se la dentatura è di tale caratura, perché no?
Si intitola "Super Video Stars". Un nome che, anche senza sapere di che si tratta, già parla di un'epoca lontana, perché in tempi recenti niente potrebbe avere un titolo così semplice, candido e potente. I contenuti lo confermano: si tratta di una raccolta di sigle di programmi televisivi, di telefilm e di cartoni provenienti da quell'epoca felice della televisione che si colloca tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. Col senno di poi, un'epoca tanto felice quanto struggente, poi la televisione cominciò a cambiare e a seguire logiche che in troppi casi non premiavano tanto la qualità quanto altri aspetti del prodotto. C'era una Rai stuzzicata dall'arrivo delle prime emittenti private, che la costringevano a esplorare nuovi linguaggi per restare competitiva. C'era una fame micidiale di programmi che sapessero parlare a 'sti benedetti giovani, che già cominciavano, tra 70s e 80s, a mostrare l'ennesima mutazione, perennemente indecifrabile per sociologi, psicologi e giornalisti.
E allora come accalappiare 'sti giovani, oltretutto sempre più giovani, visto la crescente esposizione televisiva di fasce d'età fino a poco prima relegate al concetto di "Carosello e poi a nanna"? Be', con quella cosa lì, la musica. E la musica delle sigle TV è un termometro fantastico, epoca dopo epoca, di cosa piace o non piace ai giovani. Allo stesso tempo, grazie alla ripetizione spesso quotidiana, le sigle funzionano a mo' di mantra che non solo segue, ma pure forma i gusti (giovanili e non).
Sul loro potenziale culturale, tuttavia, i loro stessi autori erano abbastanza ingenui: ne capivano l'importanza commerciale, ma le concepivano come un prodotto quasi di serie B, senza un reale valore artistico. A volte si facevano in gran velocità, magari riciclando o plagiando. Eppure... Eppure ora sono qui con questo doppio CD di sigle che, per quanto in gran parte dimenticate dai più, sopravvivono come oggetti culturali da preservare. E spesso sorprendono, perché magari proprio questo processo creativo alla bell'e meglio, unito al mestiere e professionalità di compositori ed esecutori, le rende diverse, audaci, energiche, perfino sperimentali.
Quindi anch'io, nel resoconto di  queste 23 tracce (più 10 basi musicali) cercherò di avanzare spedito. Con un avvertimento: sarà difficile non mettere i "nostalgia goggles" di tanto in tanto, perché sul limitare della memoria molti brani mi si sono parati innanzi come un compagno di prima elementare che non vedi da trentacinque anni, ma che riconosci all'istante. E con grande emozione.

Nota: ovviamente i link ripescati da YouTube qui a seguire difettano proprio di quella che è il più grande pregio della collection: la qualità audio che sgorga copiosa dai master originali.


1 Daniel Santacruz Ensemble - Uffa, domani è lunedì



Partiamo con un pezzo che non ho mai sentito, giuro. Loro son quelli di Soleado, qui in un numero disco dal testo totalmente risibile, diremmo populista. Ma - e c'è lo zampino di Tempera - che groove. Il moog di “I feel love” con ritmo disco, cori quasi Abba e interessanti inserti di chitarra classica, più gli immancabili fiati. La pura forza di musicisti impeccabili che trasforma il nulla in... qualcosa.

2 Il Baricentro - Endless Man


Sigla della serie tv "Racconti di Fantascienza”. La ricordavo, in particolar modo perché da piccolo mi metteva paura. Quell'ostinato di moog, quel tempo sincopato, gli arpeggi elettronici liquidissimi. Oggi invece mi rasserena e lo trovo decisamente pregevole nella sua vena retro-fantascientifica. Eh sì, il futuro non è più quello di una volta.

3 Superband - Supereroi


Per il contenitore televisivo "noi superoi", un pezzo che giustamente parla un po' di tutti, senza troppi problemi "questo è marvel" "questo è DC". Sticazzi. Il brano è marginalmente un plagio di Take a Heart dei Sorrows, che però viene stravolta con l'inevitabile - per l'epoca - obbligato elettronico, dei suoni che sembrano presi di pacca da Space Invaders o Computer Games degli YMO, aspetto che rivela una sensibilità notevole a ciò che più è cool e contemporaneo. Sopra tutto, troneggia la voce pazzesca di Dougie Meakin, qui super blues. E che testo, diretto, carico di... di leadership. Mi arruolo, Dougie. Dimmi dove firmare.

4 Superband - Forza ragazzi

[video non su youtube, desolé]

Una alternate take di “ Noi supereroi”, con giusto una strofa cambiata chissà perché. Forse per far sì che i collezionisti, trent'anni dopo, restino con questo misterioso e instricabile rovello.    

5 Orlando L. Johnson - On the Sunny Side of the Street


Se c'è un pezzo di questo doppio CD che qualsiasi quarantenne conosce (pur non scientemente!) è proprio questo bel brano disco cantato in falsetto da, pensa te, il fratello di Wess: accompagnava gli annunci di Italia 1, figurati. Il brano, non il fratello di Wess, che al limite accompagnava Dori Ghezzi. Wess, non il fratello. Oh, insomma.
Tu, come me, mai penseresti di arrangiare uno standard jazz di Fats Waller del 1930 in maniera così sfacciatamente dance, e invece è una bomba. Irresistibile, forse un po' lungo coi suoi 4 minuti, ma hey, è la disco.

6 Stefania Rotolo - Disco Tic


Il mondo si divide in chi compiange Stefania Rotolo e chi non sa chi sia, ma quando poi gli fai sentire i brani di Stefania e poi gli racconti la sua drammatica storia, be', si mette a compiangerla. Non ci dilungheremo certo qui. Con Malgioglio nei suoi anni migliori alle spalle, Disco Tic presenta un testo sensibilmente demenziale, da Erminio Macario (e la nostra aveva iniziato proprio col grande comico). Stefania non si decide davvero se cantarlo o recitarlo, ma nell'insieme sembra più un'intenzione interpretativa che un limite. Strambo, ma non stupido, e con sotto 'sto discofunky da paura.

7 Stefania Rotolo - Cocktail d'amore


"IL pezzo" della brevissima carriera di Stefania. Mellow latineggiante che si definisce lungo il suo dipanarsi come slow pop, con un sassofono birichino e un'interpretazione vocale che non ti aspetteresti da una showgirl che in teoria ha il suo punto di forza nell'energia danzereccia. Emozionante.

8 Stefania Rotolo - Marameo



Ecco, questo invece è il MIO pezzo preferito della Rotolo. Praticamente in tempo reale, il testo ironizza sui nuovi eroi dei cartoni giapponesi che, per i bambini, hanno ormai soppiantato i miti di una volta. Un rap serratissimo che sembrerebbe ammiccare a quanto succedeva musicalmente States, ma secondo me c’è un grande debito verso Petrolini nello stile irriverente che non lascia fiato.
Curiosamente si citano anche Jeeg e il grande Mazinga, che pure non erano del roster RAI (mentre il brano veniva eseguito proprio nell'ambito del programma RAI "Tilt". Come non fossimo già al cospetto di una genialata, a sorreggere il tutto c'è una base discofunky che non perdona. Capolavoro.

9 I Mini Robots - Jet Robot


Quando entra in campo Vito Tommaso non c'è molto da fare - è un compositore, arrangiatore e direttore d'orchestra senza rivali nel mio pantheon personale di sigle televisive. Uno dei pochi a utilizzare in maniera perfettamente sensata i cori di bambini - non senza averci ficcato in mezzo Rita Monico, già corista di Mina, a fare da ossatura "frequenziale" al coro. Jet Robot è forse il suo brano "robotico" che mi piace meno - e mi piace tantissimo! Notate le rifiniture della base ritmica, raffinata ma che mantiene tutto il "tiro" necessario per un brano che, alla fin fine, parla di uno dei robot più duri e tragici di Nagai, Getter Robot.

10 I Mini Robots - George

[sì, lo so, lo so]

Numero giustamente più comico e meno epico, perfetto appunto come sigla dello strampalato George of the Jungle. Che non ricordo di aver mai, MAI visto all'epoca. Se non altro la sigla me la sarei ricordata, un giro melodico elegantissimo e molto intelligente, apparentemente circolare ma che al momento giusto sa sfociare nel potente ritornello. Occhio anche al middle eight semi improvvisato. Se solo non dicesse proprio TUTTE quelle volte "George".

11 Little Tony - Love Boat (Profumo di mare)



Questo è il brano di Vito Tommaso più celebre, vuoi per l'esposizione televisiva eterna, vuoi per questo Little Tony insolitamente calmo e crooner che canta, appropriatamente, "ma COSAA SUCCEDE SONO CAMBIATO". Il brano è più adatto a una piccola barca a vela che sfreccia a largo di una barriera corallina che non a una tronfia nave da crociera - ed è un complimento al brano. Intro di invidiabile raffinatezza, cori gloriosi ma leggeri, una strana pianoletta verso la fine del brano (spesso Tommaso sceglieva solo instruments davvero bizzarri) e tanto tanto amore. Meglio addirittura della sigla originale americana? Non mi pronunzio.

12 I Mini Robots - Gackeen magnetico robot


Ma siamo pazzi. Qua siamo veramente alla follia. E' tutto giusto, giuro. è un brano che smaccatamente incarna alla PERFEZIONE quella che era l'intenzione dell'autore. E' un libro aperto, è cristallino. Vito Tommaso voleva ottenere esattamente questo. Ve lo dico io. con questo grazioso tono da invasato. Il testo, che parla dei protagonisti di gakeen ma anche in generale del rapporto tra l'uomo e la donna, voce dolcissima, ti domandi che minchia c'entra tutto ciò con i robottoni e BAM, parte il ritornello con una rullata di tom infinita e parte la disco, col bassista che si sta divertendo come un pazzo con gli unza unza in ottava e un gusto per un attimo più melodico che ritmo. Nel mentre succede di tutto, cori, chitarre elettriche, controchitarre elettriche, e una spece di clavinet o come si chiama, col batterista che apre tutto quello che può e colpisce i piatti con espressione ebete e groove totale. Assolino inspiratissimo e via verso la fine netta e perfetta.

[FINE PARTE 1 - sarebbe quasi pronta anche la seconda, ma preferisco i post ben cotti]