Lo so che non ci stavate pensando. Da quant'è che non ci pensate, a Zooropa. Voi eravate tranquilli che sorseggiavate un cordiale, o uno stravecchio cazzeggiando su Internet, e siete passati di qua, chissà che ci racconta oggi Andrea Babich, e speravate tutt'altro, magari in qualcosa che rafforzasse la vostra posizione in merito al Festival di Sanremo, quale essa sia. Sentirmi dire che sotto sotto mi piace Mengoni, e che lo metto sul medesimo livello di Garbo o Federico Fiumani.
E invece. Il dilemma "E se Zooropa fosse un buon disco?" mi sembra, nello spazio e nel tempo e nell'anima, la cosa più lontana da questa domenica pomeriggio postsanremese. In assoluto. Detossificante.
Ancora lì? Ok.
Era il 1993, e milioni di U2-fan estasiati sciamavano verso i negozi di dischi. Venite adoremus, è uscito il sequel di Achtung Baby! Diamine, messa così, era una partita praticamente persa in partenza. Non si può fare un sequel di Achtung Baby, uno dei 10 migliori dischi degli anni Novanta e non mettiamoci a discutere nemmeno su quest'affermazione. Eppure, proprio perché Achtung Baby era così squisito, i fan ne volevano ancora. Era palese e umanamente comprensibile.
Bono e compagni non potevano non sapere. E siccome sono tanto bravi quanto paraculi, si devono esser detti: "qui se ci convinciamo anche noi che vogliamo fare il sequel di Achtung Baby siamo spacciati, dobbiamo inventarci un'ambizione che non abbiamo (per forza, l'abbiamo messa tutta in Achtung Baby!). Questo comporterebbe un tempo immane in qualche remoto studio di registrazione, comporterebbe un nuovo, innovativo concept sonoro da sottendere all'opera, e insomma, che sbattimento, saremo anche gli U2, ma non si potrebbe abbassare un po' il tiro?"
(Sì, li ho sentiti personalmente dire queste esatte parole, in italiano, per giunta, una volta che li ho incontrati al "Ben Bon", eccellente bettola di Roiano.)
E così gli U2 abbassarono un po' il tiro, non se la tirarono e fecero uscire Zooropa appena 2 anni dopo Achtung Baby, così, en souplesse, "e venga come venga, che intanto così abbiamo una scusa per continuare 'sto mega-tour che ci piace tanto".
Si diceva che sono paraculi, però, 'sti U2. E allora ecco che il disco, pur insolitamente "leggero" (per quanto possa leggero un parto degli inventori della moderna epica del rock, s'intende), strizza comunque l'occhio agli arrangiamenti di Achtung Baby. E sono quelli i momenti, secondo me, in cui funziona peggio. Tipo Zooropa la opening track, accipicchia, quanta roba ci han voluto mettere dentro, 7 minuti di roba, con un'intro eccellente, poi tutte le strofe della canzone, poi tutti i ritornelli. Ascoltatela e ditemi se non è così. Forse per fare gli originali, hanno montato la canzone di sghimbescio, polarizzandone gli elementi strutturali. In ogni caso, iniziare con quel feeling-attenzione-bambina falsa la percezione di ciò che viene dopo. Ok, parlo per me, per me che appunto non accettavo che abbassassero il tiro, i ragazzi. Babyface, ascoltata con monumentale senno di poi, è un pezzo pop eccellente, quasi lennoniano, almeno come peso specifico, se non come gusto compositivo. Numb ha tutta la potenza deviata di un lato B, e infatti, per fare gli eccentrici, gli U2 l'hanno scelto come video. promozionale. Cantato da The Edge, addirittura, ergo fresco, diverso. Lemon ci spiega un'altra qualità del disco: la sua acidità ragionata. Mentre Achtung Baby andava giù con tutta la distorsione concepibile da Eno, Lanois e gli U2, qui l'acidità è perfettamente commisurata allo stile "sopra le righe" dell'operazione. Più tastiere, anche sbarazzine, sempre un filo Madchester, un filino house, addirittura, però sì, l'acidità va a pesare meno sulla chitarra e un po' più sui suoni di sintesi tastieristici - e in effetti questo si rivelerà il biglietto del traghetto che trasporterà gli U2 verso Pop.
E quant'è pop Stay? Così pop che è stata scritta per Sinatra, che siccome era Sinatra, ha detto a Bono che non esiste, che quella se la cantava lui e che insieme, per un disco di duetti, avrebbero interpretato quel bel pezzo di Cole Porter. E vabbe', Bono se l'è cantata lui, Stay, e proprio bene, molto bene, con una modulazione tra falsetto e voce piena che lascia l'ascoltatore un po' più vicino al cielo sopra Berlino e un po' meno a quello sopra la brughiera dove non si vede a un passo.
Daddy's gonna pay for your crashed car è la canzone che mi ha spinto a lanciarmi in questo post revisionista, almeno presso la mia persona, di Zooropa. E' un brano stupendo. Moderno, ossessivo, spietato tanto nelle timbriche quanto nel testo. Coerenza testo-musica dieci più! Perfino il filo di retorica che sembra permeare questa filippica contro i figli di papà può essere vista come una consapevole accentuazione dell'ossessività complessiva.
Some Days are better than others, che arriva subito dopo, mi rivela che uno dei problemi di Zooropa è probabilmente l'ordine scelto per le canzoni (il che rispecchia in effetti l'assemblamento bislacco di strofe e ritornelli in Zooropa title track). Come si fa a mettere dopo Daddy's gonna pay for your crashed car una canzone con un ritmo funkeggiante e dei BPM così simili, ma con molta meno aggressività? Bastava tenerle un po' lontane nell'arco della tracklist, perché, sic stantibus rebus, Some Days are better than others ne viene un po' maciullata. E' un ottimo pezzo, con delle chitarre vagamente dissonanti, un testo e una metrica giocososfiziose e altre qualità segrete, ma certo non gli giova di arrivare in coda alle sonorità così intense (cit.), quasi industrial, della precedente.
Soprattutto se poi, ancora a seguire, arriva The First Time, che sembra ripescata addirittura dagli outtake di The Joshua Tree, a sentirla. Atmosferica, e solo quello, come quando la rugiada rende bella una discarica, però cavoli, è la canzone à la U2 vecchia maniera più scontata che potessero fare. Un crescendo, più che rossiniano, eniano, tutto affidato alla maestria di Eno che fa quello che può coi synth. Ma forse è il testo che mi ammazza, con il ggiovane ribelle che rifiuta le ricchezze del padre e se ne va dalla porta sul retro gettando via la chiave. E sticazzi, buon per lui, ma se la canzone è musicalmente vuota, e il testo è retoricamente sciapo, possono davvero bastare Eno e la voce di Bono a tenere in piedi la baracca? Secondo loro sì, secondo me, sticazzi.
E vabbe', pazienza, soprattutto se subito dopo c'è Dirty Day, che all'epoca mi sembrava pur'essa sciapa, po'rella, e io, io non ho mai capito niente, tanto che Dirty Day ora mi piace molto, perché all'inizio sembra succedere poco, musicalmente, ma in realtà ci intravedo (intrasento?) un nervosismo sotteso, serpeggiante, che infatti a un certo punto esplode con efficacia in uno schitarramento serrato e riuscitissimo. E prima succedono altre cose, che oh insomma sentitele, e che mi pare riescano a condurre l'ascoltatore esattamente dove vogliono e come vogliono, in un percorso audio-emotivo che non tradisce fino alla fine.
E poi c'è la fine del disco, e anche là, cosa potevo capire, nel 1993, che non sapevo chi fosse Johnny Cash? Be', sì, sapevo che era un vecchiaccio del country chiamato dagli U2 a cantare The Wanderer, l'ultima canzone di Zooropa. Splendido, un pezzo country fatto e finito, che magicamanete funziona e risplende grazie all'enossificazione sonora: scampanellii fusi nell'alba, un basso elettronico che potrebbe serenamente esser riprodotto col Commodore 64, cori angelici di Bono e The Edge e magari qualcun altro. E sopra tutto, la voce di Cash, ieratica, che quando dice "Jesus" diventi per un'istante fervente credente, per quanto arrovellato e maledetto quanto lui. Sì, sì, lo so che Cash ha rifatto Personal Jesus dei Depeche, e per forza, lo sa anche lui quanto je suona bene in bocca il Jesus!
Però, a ricordarci che Zooropa è sì un buon disco, ma che è anche un disco fatto su un po' alla svelta (per i pachidermici ritmi U2), ecco che come sorta di ghost track i ragazzi ci piazzano uno dei suoni più fastidiosi della storia della musica, il suono dell'antifurto di un cesso di un camion finito per sbaglio nella metro di Berlino, o qualcosa di simile, insomma, provate a definirlo meglio voi. Io Zooropa me lo sono raccontato così bene, in questo post, che adesso ci voglio anche un po' più bene di prima, ecco. Poi passerà, ma per intanto let's get to the overground, baby. E sì, vieni anche tu, Mengoni, che è tutta salute.
E invece. Il dilemma "E se Zooropa fosse un buon disco?" mi sembra, nello spazio e nel tempo e nell'anima, la cosa più lontana da questa domenica pomeriggio postsanremese. In assoluto. Detossificante.
Ancora lì? Ok.
Era il 1993, e milioni di U2-fan estasiati sciamavano verso i negozi di dischi. Venite adoremus, è uscito il sequel di Achtung Baby! Diamine, messa così, era una partita praticamente persa in partenza. Non si può fare un sequel di Achtung Baby, uno dei 10 migliori dischi degli anni Novanta e non mettiamoci a discutere nemmeno su quest'affermazione. Eppure, proprio perché Achtung Baby era così squisito, i fan ne volevano ancora. Era palese e umanamente comprensibile.
Bono e compagni non potevano non sapere. E siccome sono tanto bravi quanto paraculi, si devono esser detti: "qui se ci convinciamo anche noi che vogliamo fare il sequel di Achtung Baby siamo spacciati, dobbiamo inventarci un'ambizione che non abbiamo (per forza, l'abbiamo messa tutta in Achtung Baby!). Questo comporterebbe un tempo immane in qualche remoto studio di registrazione, comporterebbe un nuovo, innovativo concept sonoro da sottendere all'opera, e insomma, che sbattimento, saremo anche gli U2, ma non si potrebbe abbassare un po' il tiro?"
(Sì, li ho sentiti personalmente dire queste esatte parole, in italiano, per giunta, una volta che li ho incontrati al "Ben Bon", eccellente bettola di Roiano.)
E così gli U2 abbassarono un po' il tiro, non se la tirarono e fecero uscire Zooropa appena 2 anni dopo Achtung Baby, così, en souplesse, "e venga come venga, che intanto così abbiamo una scusa per continuare 'sto mega-tour che ci piace tanto".
Si diceva che sono paraculi, però, 'sti U2. E allora ecco che il disco, pur insolitamente "leggero" (per quanto possa leggero un parto degli inventori della moderna epica del rock, s'intende), strizza comunque l'occhio agli arrangiamenti di Achtung Baby. E sono quelli i momenti, secondo me, in cui funziona peggio. Tipo Zooropa la opening track, accipicchia, quanta roba ci han voluto mettere dentro, 7 minuti di roba, con un'intro eccellente, poi tutte le strofe della canzone, poi tutti i ritornelli. Ascoltatela e ditemi se non è così. Forse per fare gli originali, hanno montato la canzone di sghimbescio, polarizzandone gli elementi strutturali. In ogni caso, iniziare con quel feeling-attenzione-bambina falsa la percezione di ciò che viene dopo. Ok, parlo per me, per me che appunto non accettavo che abbassassero il tiro, i ragazzi. Babyface, ascoltata con monumentale senno di poi, è un pezzo pop eccellente, quasi lennoniano, almeno come peso specifico, se non come gusto compositivo. Numb ha tutta la potenza deviata di un lato B, e infatti, per fare gli eccentrici, gli U2 l'hanno scelto come video. promozionale. Cantato da The Edge, addirittura, ergo fresco, diverso. Lemon ci spiega un'altra qualità del disco: la sua acidità ragionata. Mentre Achtung Baby andava giù con tutta la distorsione concepibile da Eno, Lanois e gli U2, qui l'acidità è perfettamente commisurata allo stile "sopra le righe" dell'operazione. Più tastiere, anche sbarazzine, sempre un filo Madchester, un filino house, addirittura, però sì, l'acidità va a pesare meno sulla chitarra e un po' più sui suoni di sintesi tastieristici - e in effetti questo si rivelerà il biglietto del traghetto che trasporterà gli U2 verso Pop.
E quant'è pop Stay? Così pop che è stata scritta per Sinatra, che siccome era Sinatra, ha detto a Bono che non esiste, che quella se la cantava lui e che insieme, per un disco di duetti, avrebbero interpretato quel bel pezzo di Cole Porter. E vabbe', Bono se l'è cantata lui, Stay, e proprio bene, molto bene, con una modulazione tra falsetto e voce piena che lascia l'ascoltatore un po' più vicino al cielo sopra Berlino e un po' meno a quello sopra la brughiera dove non si vede a un passo.
Daddy's gonna pay for your crashed car è la canzone che mi ha spinto a lanciarmi in questo post revisionista, almeno presso la mia persona, di Zooropa. E' un brano stupendo. Moderno, ossessivo, spietato tanto nelle timbriche quanto nel testo. Coerenza testo-musica dieci più! Perfino il filo di retorica che sembra permeare questa filippica contro i figli di papà può essere vista come una consapevole accentuazione dell'ossessività complessiva.
Some Days are better than others, che arriva subito dopo, mi rivela che uno dei problemi di Zooropa è probabilmente l'ordine scelto per le canzoni (il che rispecchia in effetti l'assemblamento bislacco di strofe e ritornelli in Zooropa title track). Come si fa a mettere dopo Daddy's gonna pay for your crashed car una canzone con un ritmo funkeggiante e dei BPM così simili, ma con molta meno aggressività? Bastava tenerle un po' lontane nell'arco della tracklist, perché, sic stantibus rebus, Some Days are better than others ne viene un po' maciullata. E' un ottimo pezzo, con delle chitarre vagamente dissonanti, un testo e una metrica giocososfiziose e altre qualità segrete, ma certo non gli giova di arrivare in coda alle sonorità così intense (cit.), quasi industrial, della precedente.
Soprattutto se poi, ancora a seguire, arriva The First Time, che sembra ripescata addirittura dagli outtake di The Joshua Tree, a sentirla. Atmosferica, e solo quello, come quando la rugiada rende bella una discarica, però cavoli, è la canzone à la U2 vecchia maniera più scontata che potessero fare. Un crescendo, più che rossiniano, eniano, tutto affidato alla maestria di Eno che fa quello che può coi synth. Ma forse è il testo che mi ammazza, con il ggiovane ribelle che rifiuta le ricchezze del padre e se ne va dalla porta sul retro gettando via la chiave. E sticazzi, buon per lui, ma se la canzone è musicalmente vuota, e il testo è retoricamente sciapo, possono davvero bastare Eno e la voce di Bono a tenere in piedi la baracca? Secondo loro sì, secondo me, sticazzi.
E vabbe', pazienza, soprattutto se subito dopo c'è Dirty Day, che all'epoca mi sembrava pur'essa sciapa, po'rella, e io, io non ho mai capito niente, tanto che Dirty Day ora mi piace molto, perché all'inizio sembra succedere poco, musicalmente, ma in realtà ci intravedo (intrasento?) un nervosismo sotteso, serpeggiante, che infatti a un certo punto esplode con efficacia in uno schitarramento serrato e riuscitissimo. E prima succedono altre cose, che oh insomma sentitele, e che mi pare riescano a condurre l'ascoltatore esattamente dove vogliono e come vogliono, in un percorso audio-emotivo che non tradisce fino alla fine.
E poi c'è la fine del disco, e anche là, cosa potevo capire, nel 1993, che non sapevo chi fosse Johnny Cash? Be', sì, sapevo che era un vecchiaccio del country chiamato dagli U2 a cantare The Wanderer, l'ultima canzone di Zooropa. Splendido, un pezzo country fatto e finito, che magicamanete funziona e risplende grazie all'enossificazione sonora: scampanellii fusi nell'alba, un basso elettronico che potrebbe serenamente esser riprodotto col Commodore 64, cori angelici di Bono e The Edge e magari qualcun altro. E sopra tutto, la voce di Cash, ieratica, che quando dice "Jesus" diventi per un'istante fervente credente, per quanto arrovellato e maledetto quanto lui. Sì, sì, lo so che Cash ha rifatto Personal Jesus dei Depeche, e per forza, lo sa anche lui quanto je suona bene in bocca il Jesus!
Però, a ricordarci che Zooropa è sì un buon disco, ma che è anche un disco fatto su un po' alla svelta (per i pachidermici ritmi U2), ecco che come sorta di ghost track i ragazzi ci piazzano uno dei suoni più fastidiosi della storia della musica, il suono dell'antifurto di un cesso di un camion finito per sbaglio nella metro di Berlino, o qualcosa di simile, insomma, provate a definirlo meglio voi. Io Zooropa me lo sono raccontato così bene, in questo post, che adesso ci voglio anche un po' più bene di prima, ecco. Poi passerà, ma per intanto let's get to the overground, baby. E sì, vieni anche tu, Mengoni, che è tutta salute.
8 comments:
B, non toccarmi MC Stramengone, che anche se miagola un po' troppo forte, è troppo forte!
E poi meglio di tutto rimane sempre The Unforgettable Fire, che infatti per me è indimenticabile e insuperato.
S
Beh, come si dice, the songs you grow to like never stick at first... scusa il commento un po' scialbo ma ammetto che sugli U2 so quanto basta per cantare a memoria le canzoni di 18 singles e accompagnare la barista più bella e dolce del mondo al loro concerto il 7 Luglio a Milano. Bel concerto, belle canzoni, bella compagnia, ma poteva andare meglio con la barista! (e sticazzi dirai tu)
B: "E se Zooropa fosse un buon disco?"
G: "Ok, ma la copertina resta cacao!"
A me, che non capisco un cazzo di musica, Zooropa era piaciuto subito, sin dal primo ascolto. =)
Barbie, come sai abbiamo parlato troppo di Zooropa nella vita. Comunque Zoostation è spaziale, per quanto capisca cosa non te la faccia digerire del tutto.
Molto d'accordo su Daddy Gonna BlaBla. Molto bello comunque. Ed è proprio uno di quei dischi che non vedi l'ora ne facciano altre due o tre dopo, così la smettono di parlarne tutti, smette di avere importanza, di avere un'eredità da gestire e cazzi e mazzi e può essere solo quel che è. Un bel disco.
Ho avuto una grande fortuna al tempo di Zooropa, ovvero quella di non essere un fan SFEGATATO di Achtung Baby. Cmq Zooropa mi piacque molto, a parte alcune canzoni che ora non ascolterei veramente piu', tipo Numb o Lemon o The First Time. Le mie preferite sono Daddy, Dirty Day e Zooropa (e Stay, in extremis).
Ma a me Zooropa piace!
E comunque, a proposito di The First Time, personalmente mi ha uccisa in seguito, con The Million Dollar Hotel.
Maestro aggiorna il blog che ci manchi :o
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