Tuesday, 9 February 2010

"Tonight I'm a software house star"

Kevin Toms, programmatore di giochi, nel 1984 programma un gioco in cui occorre programmare un gioco.
E ci si mette in copertina.

Ho cominciato a pensare che sarebbe stato bello lavorare per una software house all'incirca nel 1985. Fu un pensiero pilotato dalle riviste di videogiochi che cominciavano ad apparire timidamente sui banchi dell'edicolante, tra "Lanciostory" e "Gin Fizz". Coloro che scrivevano sulle riviste erano evidentemente interessati al fenomeno videoludico in maniera olistica, e guardavano simultaneamente tanto all'aspetto creativo quanto a quello commerciale, ed esaltavano come rockstar le allora nascenti figure chiave del game design. Jeff Minter! David Crane! Dan(i) Bunten! Rob Hubbard! Tony Crowther! Anche perché i programmatori britannici, in quegli anni, guadagnavano paccate di bigliettoni, si compravano auto sportive, ci andavano dall'immobiliarista e si facevano una casa con taverna, si facevano una sala giochi nella taverna della casa con taverna - il tutto praticando la pura arte nerd della programmazione, dunque senza investimenti clamorosi alle spalle, ma puramente sulla base di una pratica già comune a molti adolescenti. L'informatica videoludica si stava proponendo sui media di settore come la nuova minera d'oro, il sogno americano virtualizzato, dove basta avere una buona idea e tanta forza di volontà e si diventa dei vincenti. Sì, un po' come internet di qualche anno fa, o forse anche di adesso.
Era vero? Era in parte vero, in parte scena, in parte bancarotte micidiali (come quella della "prima" Imagine in Inghilterra), in parte macchine a noleggio, in parte la voglia di avere degli eroi di cui cantare le gesta, tanto per i giornalisti quanto per i giocatori. In quest'ottica si può inserire anche Software Star (1984/1985, Addictive Software), realizzato da Kevin Toms, reduce dalla programmazione di Football Manager, in effetti il capostipite dei manageriali sportivi. L'idea di Kevin Toms era gustosa: tutti parlano di software house e sviluppo di videogame? Beh, facciamoci su un gioco e permettiamo ai giocatori di simulare l'ascesa alle stelle o la caduta alle stalle.

La grande critica che veniva mossa all'epoca al gioco era di essere troppo aleatorio: non sembravano esserci reali criteri logici per garantire il successo della propria software house (ehi, se qualcuno conosce questi "criteri logici", mi chiami, che diventiamo ricchi assieme!)

Questo per la critica. Per me, che nel 1985 avevo 11 anni ed era già tanto che sapessi l'inglese abbastanza da giocare, era uno sballo, Software Star. Potevo mettere il nome al mio gioco immaginario (possibilmente surreale, possibilmente volgare) e vederlo scalare la classifica, almeno un po'. Perdevo subito, perdevo sempre, ma perché, non era quello che succedeva anche in qualsiasi altro gioco?

Che poi, a ben vedere, il gioco sciorinava una apparentemente cospicua quantità di variabili da considerare. A riguardare oggi Software Star, oggi che effettivamente conosco il processo produttivo dei videogame, c'è di che stupirsi. Anche se non c'è quel senso di "sto dominando la situazione" presente in Football Manager.

Il senno di poi è sublime: a pensare all'industry videoludica di oggi, e a riguardare schermate come questa, vecchia di venticinque anni, viene istantaneo pensare a come non vi sia nulla di nuovo sotto il sole. Use Hype or use Honesty? Eh eh!


Sempre col senno di poi, l'aleatorietà di cui sopra aveva un senso. Toms si stava sforzando di simulare l'industria dei videogame, quella che ai suoi contemporanei sembrava riservare casualmente grande fortuna o sfiga pietrificante. Software Star non faceva altro che riprodurre fedelmente lo zeitgeist dell'epoca. Di quell'epoca, di qualsiasi epoca - il caos.

Prendi Kevin Toms, per esempio - dopo il clamoroso successo di Football Manager, le cose non sono andate per il verso giusto. Ma qual è il "verso giusto"? Dalla sua natia Inghilterra, è emigrato in Nuova Zelanda. Non gli è stato probabilmente dato tutto il credito che merita per aver creato i manageriali calcistici, ma continua a lottare per produrre giochi indipendentemente. Sicuramente lui, con le sue scelte di vita, ha superato i limiti imposti dal suo Software Star. Bella lì, Kevin. Ma aggiorna la foto sul tuo sito. Sooo 80's.

2 comments:

Anonymous said...

Non sapevo che la taverna fosse un elemento essenziale per essere nerd. Ciò mi fa pensare che il medio Friuli sia pieno di nerd.
NerditUDINE!
S

Baddo said...

Ho sempre considerato la programmazione oltre le mie capacità nerdistiche, preferirei alla lunga scrivere in una rivista come facevi tu. Perchè non mi hai lasciato il posto che sono disoccupato? ;) Scherzi a parte, trovo i giochi di simulazione di quel tipo in per se stessi un'oscenità contro natura e contro il tempo. Voglio dire, come The Sims. Cosa ne hanno fatti, 3? 4? Anche il primo era di troppo. La vita già è corta, se poi ne sprechi un buon pezzo a giocarne una fittizia seduto sul tuo culo tutto il giorno, mah...