Devendra Banhart è il mio cocchino musicale degli ultimi 5 anni. Non so come altro definirlo. Di per sé si potrebbe definire come un artista folk venezuelan-statunitense che mescola folk, bluegrass, rock, tropicalismo, blues. Simpatico, alla mano, bellissimo, naturista, misticheggiante, cromoterapeutico, originale nel modo di cantare e citazionista di talmente tanta roba che, una volta setacciata, la roba è totalmente sua.
Ma se devo rapportarlo a me, è il mio cocchino. Quello che sospende il tuo giudizio, che non ti fa dare mentalmente dei voti ai dischi, che tutto quello che fa lo fai tuo. E' bello seguire la sua crescita, perché per una volta non è un artista classico/vecchio/morto, è uno che sarà nato nel 1982, così a occhio, intuendone la giovine vecchiezza dietro la barba da cugino It. Devendra evolve in totale allegria, disco dopo disco. Esistono un sacco di wikipidie e allmusic.com dove potete scoprire, disco dopo disco, cosa combina il nostro. Ma ora è uscito il nuovo disco, ed è soggettivamente bellissimo, è entusiasmante, è dolce e amaro e allegro e triste come il cielo frizzante del crepuscolo attraversato da nuvole veloci in un ricordo del 1987 che vi è appena tornato in mente ed era dal 198X che non vi veniva in mente, pensa te. Che poi faceva freddo ma stavi andando a trovare un amico e in casa c'era calduccio e c'era l'amico e magari anche la sorella dell'amico che ti piaceva.
La cosa più riuscita del disco è che non è fatto per aderire ad alcuno standard contemporaneo di piacevolezza discografica. Né, altresì, è pensato per andare furbescamente controcorrente per farsi notare. No. E' un disco che trasmette il piacere di chi lo ha composto e dell'atto comunitario della performance sonora. Una band, con ogni strumento che cura la sua parte, sembra molto scritto come album, con ogni fraseggio di chitarra/basso e ogni stacco di batteria al suo posto, ma allo stesso tempo con un calore da jam session riuscita.
Perché parlo di "poca piacevolezza discografica"? Perché il disco parte lento, per quanto tra il gioioso/sereno, per poi scendere in uno strano torpore malinconico, come un ingranaggio che perde l'abbrivio e infine sembra quasi arrestarsi. A quel punto - sorpresa! - Dev mette la quarta e parte con un gran pezzo che cita nel titolo i Roxy Music, evidente influenza, quasi a dire ai fan dei Franz Ferdinand: ehi, non ce l'ho con voi, sto copiando i maestri, non gli ultimi arrivati. Di guru un guru ecco il brano "Rats" che a tutti ricorda Jim Morrison ma a me le chitarre ricordano i Led Zeppelin più pop, quelli che affioravano di volta in volta nei dischi dopo i primi quattro. E poi ci sono altre prelibatezze, tutte incastrate una nell'altra che non si capisce davvero dove voglia andare, questo disco, ma ciò che adoro è proprio che non è che siamo nel 1973 e che devi per forza far andare il disco da qualche parte, se la realtà contemporanea è priva di un nucleo e frammentaria e cedevole e vuota di ideali e blablabla, allora fa proprio al caso mio un disco privo di un nucleo e frammentario e cedevole e vuoto di ideali e blablabla, in cui il massimo dei valori espressi sia "I close my eyes and I see you dancing/do you see me when you close yours too?"
Devendra sta ai blocchi di partenza e guarda nella direzione opposta, fa un "flying start" ma continua a correre ridendo nel tramonto, con le sue regole, il suo passo, il suo sorriso infantile (nella migliore delle accezioni possibili). Non sarebbe male nemmeno essere un suo calzino, in questa corsa che è un viaggio di ricerca musicale, personale, spirituale.
Accipicchia, avrei proprio voluto fare una recensione con tutti i crismi, e invece ho sbrodolato tutto, come degli gnocchi di semolino lanciati verso l'infinito. Una rece complementare potreste trovarla qui.
Ma se devo rapportarlo a me, è il mio cocchino. Quello che sospende il tuo giudizio, che non ti fa dare mentalmente dei voti ai dischi, che tutto quello che fa lo fai tuo. E' bello seguire la sua crescita, perché per una volta non è un artista classico/vecchio/morto, è uno che sarà nato nel 1982, così a occhio, intuendone la giovine vecchiezza dietro la barba da cugino It. Devendra evolve in totale allegria, disco dopo disco. Esistono un sacco di wikipidie e allmusic.com dove potete scoprire, disco dopo disco, cosa combina il nostro. Ma ora è uscito il nuovo disco, ed è soggettivamente bellissimo, è entusiasmante, è dolce e amaro e allegro e triste come il cielo frizzante del crepuscolo attraversato da nuvole veloci in un ricordo del 1987 che vi è appena tornato in mente ed era dal 198X che non vi veniva in mente, pensa te. Che poi faceva freddo ma stavi andando a trovare un amico e in casa c'era calduccio e c'era l'amico e magari anche la sorella dell'amico che ti piaceva.
La cosa più riuscita del disco è che non è fatto per aderire ad alcuno standard contemporaneo di piacevolezza discografica. Né, altresì, è pensato per andare furbescamente controcorrente per farsi notare. No. E' un disco che trasmette il piacere di chi lo ha composto e dell'atto comunitario della performance sonora. Una band, con ogni strumento che cura la sua parte, sembra molto scritto come album, con ogni fraseggio di chitarra/basso e ogni stacco di batteria al suo posto, ma allo stesso tempo con un calore da jam session riuscita.
Perché parlo di "poca piacevolezza discografica"? Perché il disco parte lento, per quanto tra il gioioso/sereno, per poi scendere in uno strano torpore malinconico, come un ingranaggio che perde l'abbrivio e infine sembra quasi arrestarsi. A quel punto - sorpresa! - Dev mette la quarta e parte con un gran pezzo che cita nel titolo i Roxy Music, evidente influenza, quasi a dire ai fan dei Franz Ferdinand: ehi, non ce l'ho con voi, sto copiando i maestri, non gli ultimi arrivati. Di guru un guru ecco il brano "Rats" che a tutti ricorda Jim Morrison ma a me le chitarre ricordano i Led Zeppelin più pop, quelli che affioravano di volta in volta nei dischi dopo i primi quattro. E poi ci sono altre prelibatezze, tutte incastrate una nell'altra che non si capisce davvero dove voglia andare, questo disco, ma ciò che adoro è proprio che non è che siamo nel 1973 e che devi per forza far andare il disco da qualche parte, se la realtà contemporanea è priva di un nucleo e frammentaria e cedevole e vuota di ideali e blablabla, allora fa proprio al caso mio un disco privo di un nucleo e frammentario e cedevole e vuoto di ideali e blablabla, in cui il massimo dei valori espressi sia "I close my eyes and I see you dancing/do you see me when you close yours too?"
Devendra sta ai blocchi di partenza e guarda nella direzione opposta, fa un "flying start" ma continua a correre ridendo nel tramonto, con le sue regole, il suo passo, il suo sorriso infantile (nella migliore delle accezioni possibili). Non sarebbe male nemmeno essere un suo calzino, in questa corsa che è un viaggio di ricerca musicale, personale, spirituale.
Accipicchia, avrei proprio voluto fare una recensione con tutti i crismi, e invece ho sbrodolato tutto, come degli gnocchi di semolino lanciati verso l'infinito. Una rece complementare potreste trovarla qui.
3 comments:
Poche storie: a te piacciono i suoi baffi.
S
I baffi sono sempre più importanti, un baluardo di dignità:
http://www.neogaf.com/forum/showpost.php?p=18359575&postcount=8003
B.
Dipende. Se cerchi immagini di baffi in rete viene fuori anche la figlia di Madonna. Per dire.
S
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