Si appresta a finire l'interregno (o il limbo, come direbbero Dante e Belafonte) tra il mio lavoro precedente e il mio lavoro successivo. Sono giorni pieni d'altro, e anche di mal di denti, in cui uno tenta di tirare le somme ma è ancora troppo presto e c'è troppo mal di denti per poterlo fare. Però di una cosa sono sicuro: sono andato da Milano a Cernusco sul Naviglio in bicicletta. E' successo una volta sola, misteriosa e unica, misteriosa perché non mi capacito di dove trovai il coraggio di imbarcarmi nel cimento, unica perché, l'ho appena scritto! è successo una volta sola.
Non c'è molto di che preambolare: era il 29 luglio 2008, mi sono svegliato e ho pensato che era ora di andare a lavorare in bicicletta, sfruttando il fatto che buona parte del viaggio si sarebbe consumata lungo una pista ciclabile, fiancheggiante il naviglio della Martesana. Disponevo all'epoca di una "city bike" acquistata presso un centro commerciale per 64 euro. Poteva smontarsi lungo i 14 chilometri dell'andata. O i 14 chilometri del ritorno. Ciò rendeva più eccitante, ergo più motivante l'idea di inforcare il mezzo e partire.
Nelle cuffie avevo i "Sun bearer Concerts" di Keith Jarrett. Un omaggio a Moretti che se ne andava in giro in Vespa per Roma, in "Caro Diario", con "The Koln Concert". Un bellissimo momento filmico, con Moretti silenzioso e rilassato, estivo. E' incredibile quanto la musica in cuffia possa contribuire a cambiare la percezione della pedalata. No, non è incredibile, è ovvio. Ma resta stupefacente, ecco.
Se ve lo state chiedendo, e anche se non ve lo state chiedendo, ero solo, nel cimento. Farsi autoscatti al cellulare mentre si pedala selvaggiamente in bici è una cosa malata per vari aspetti, e può diventare addirittura mortale agli incroci. Ma quando si è allegri si fanno cose strane: a volte sesso, a volte fotografie, e tra le due la più praticabile sembravano le fotografie. Che allegria mette la bici! Ma allora perché non ci si va più spesso? Perché IO non ci vado più spesso? E' proprio la non-risposta a questo questito che ne rappresenta la pigra, triste, ineluttabile risposta.
Basta così poco per sentirsi eroi del proprio microcosmo personale. Basta avere requisiti di sistema molto bassi, per superarli. Certo, l'uomo non sopporta soprattutto la felicità durevole, pertanto, se mi fossi abituato ad andare ogni giorno a Cernusco sul Naviglio - e ritorno - in bici, presto l'avrei trovato noioso, ripetitivo, troppo facile, addirittura, forse. Così, una volta sola e una volta per tutte, invece, l'impresa ha assunto subito connotati mitici. Bisogna un po' barare consapevolmente, alle volte, con se stessi.
Ma anche una botta di bici e via ti permette di cogliere, come il vento sul ciuffo di un'onda, l'essenza del ciclismo vero. Si tratta di un'ombra che attraversa la mente, tipo quella storia della caverna di Platone, ma sì, per una frazione di secondo lo capisci, il bello del ciclismo. Che è proprio la prospettiva ribaltata: non una singola impresa, ma una vita di allenamento e devozione. Non un barare per sentirsi eroi, ma essere eroi sinceri e sudati. Da quello che ne capisco, questo eroismo ciclistico raggiunge l'apice appena prima di entrare in una dimensione agonistica - lì siamo già in un altro girone. Tutto anni luce dalla mia impresina Milano-Cernusco.
L'altra cosa che si capisce è i piedi fanno pressione sui pedali, che fanno girare la catena, che mette in moto tutta una serie di ingranaggi che spingono la bici avanti, e contemporaneamente mandano indietro l'orologio dei pensieri - non verso il passato, verso una loro incarnazione più elementare, meno ingarbugliata. La complessità, l'arrovellamento mentale vengono sbrogliati, la fatica del corpo riporta la mente a ritmi più semplici. Tutto è una forma di meditazione, a (non) pensarci.
Non c'è molto di che preambolare: era il 29 luglio 2008, mi sono svegliato e ho pensato che era ora di andare a lavorare in bicicletta, sfruttando il fatto che buona parte del viaggio si sarebbe consumata lungo una pista ciclabile, fiancheggiante il naviglio della Martesana. Disponevo all'epoca di una "city bike" acquistata presso un centro commerciale per 64 euro. Poteva smontarsi lungo i 14 chilometri dell'andata. O i 14 chilometri del ritorno. Ciò rendeva più eccitante, ergo più motivante l'idea di inforcare il mezzo e partire.
Nelle cuffie avevo i "Sun bearer Concerts" di Keith Jarrett. Un omaggio a Moretti che se ne andava in giro in Vespa per Roma, in "Caro Diario", con "The Koln Concert". Un bellissimo momento filmico, con Moretti silenzioso e rilassato, estivo. E' incredibile quanto la musica in cuffia possa contribuire a cambiare la percezione della pedalata. No, non è incredibile, è ovvio. Ma resta stupefacente, ecco.
Se ve lo state chiedendo, e anche se non ve lo state chiedendo, ero solo, nel cimento. Farsi autoscatti al cellulare mentre si pedala selvaggiamente in bici è una cosa malata per vari aspetti, e può diventare addirittura mortale agli incroci. Ma quando si è allegri si fanno cose strane: a volte sesso, a volte fotografie, e tra le due la più praticabile sembravano le fotografie. Che allegria mette la bici! Ma allora perché non ci si va più spesso? Perché IO non ci vado più spesso? E' proprio la non-risposta a questo questito che ne rappresenta la pigra, triste, ineluttabile risposta.
Basta così poco per sentirsi eroi del proprio microcosmo personale. Basta avere requisiti di sistema molto bassi, per superarli. Certo, l'uomo non sopporta soprattutto la felicità durevole, pertanto, se mi fossi abituato ad andare ogni giorno a Cernusco sul Naviglio - e ritorno - in bici, presto l'avrei trovato noioso, ripetitivo, troppo facile, addirittura, forse. Così, una volta sola e una volta per tutte, invece, l'impresa ha assunto subito connotati mitici. Bisogna un po' barare consapevolmente, alle volte, con se stessi.
Ma anche una botta di bici e via ti permette di cogliere, come il vento sul ciuffo di un'onda, l'essenza del ciclismo vero. Si tratta di un'ombra che attraversa la mente, tipo quella storia della caverna di Platone, ma sì, per una frazione di secondo lo capisci, il bello del ciclismo. Che è proprio la prospettiva ribaltata: non una singola impresa, ma una vita di allenamento e devozione. Non un barare per sentirsi eroi, ma essere eroi sinceri e sudati. Da quello che ne capisco, questo eroismo ciclistico raggiunge l'apice appena prima di entrare in una dimensione agonistica - lì siamo già in un altro girone. Tutto anni luce dalla mia impresina Milano-Cernusco.
L'altra cosa che si capisce è i piedi fanno pressione sui pedali, che fanno girare la catena, che mette in moto tutta una serie di ingranaggi che spingono la bici avanti, e contemporaneamente mandano indietro l'orologio dei pensieri - non verso il passato, verso una loro incarnazione più elementare, meno ingarbugliata. La complessità, l'arrovellamento mentale vengono sbrogliati, la fatica del corpo riporta la mente a ritmi più semplici. Tutto è una forma di meditazione, a (non) pensarci.
(Al ritorno, all'ultimo chilometro, ho bucato.)
(La bici me l'hanno rubata 9 mesi dopo.)
7 comments:
Comprati un hovercraft e vivi felice.
^...come distruggere in mezza riga la magia dell'atmosfera evocativa scaturita da un maraviglioso post.
(sigh)
Sei un vero poeta moderno, ma se non ti decidi a spammare 'sti cazzo di post del blog su Twitter rischio sempre e comunque di perdermeli. =)
La Milano-Cernusco è a un passo dal diventare una grande classica del nord. Un passo sì, ma dolomitico. Ihih.
S
Per gli scorsi 1 anno e otto mesi (scorsi da un mese, mese nel quale sono disoccupato a tempo peso - o meglio a tempo perdente) ho fatto 14km andata e 14 ritorno verso e dal posto di lavoro. Con la Saab, mica in bici. E a lung'andare anche guidare è una rottura. Guidare non ti migliora, rischi soltanto di spaccare i tergicristalli quando c'è ghiaccio, di ammaccare una portiera, di spaccare lo specchieto in una stretta strada mentre vai a suonare la chitarra anche se non sai suonarla, o di piantare la macchina in un mucchio di neve a Rubiera alle 2 di notte e di andare a recuperarla il mattino seguente con tuo padre e tuo fratello che bestemmiano come vecchie bretoni.
La bici invece ti migliora, ti fortifica, aumental a resistenza, definisce e scolpisce le gambe e gli addominali. Io d'estate corro più che ciclare, ma solo perchè mi permette di fare egual fatica allontanandomi meno da casa. Si, sono pigro anche nel fare sport.
Trovo la tua impresa encomiabile, il massimo di distanza che ho percorso in bici è stata un 7 km per andare dalla nonna, poi mi portarono a casa in auto. Ero giovane, 120kg e inutile. Ma la buona volontà c'era... Chissà, forse quest'anno faccio aggiustare la vecchissima Bianchi da corsa di mio padre e - sfidando le leggi di ridicolaggine - ci monto e vado.
Chissà se il nuovo lavoro permetterà a noi incomuni mortali di continuare a leggerti. Ad ogni modo, meno male che esistono i blog! Un periodo di transizione come questo, effettivamente, meritava un post con argomento transizione: viaggio, ricerca di se stessi, autoriflessione, etc. Tutte cose che un giro in bici consente di fare. A dispetto della sua semplicità, la bici è un veicolo dei propri pensieri, ti consente di entrare in sintonia col mondo, di cogliere il ritmo, di individuare la funzione d'onda dell'ambiente circostante ed entrarvi in fase, di auscultare i vagiti dell'universo; una corsa per placare una corsa - quella interiore, verso chissà quali mete. La nostra è l'epoca della corsa, perciò meglio se in bici. Peccato che, ogni tanto, si bucano le ruote. Ma non si può avere tutto dalla vita.
Grazie a tutti per questi bei post. nel mondo in cui nulla si crea e nulla si distrugge, tutti vortichiamo assieme attorno alla ruota della vita, sballottati nella sua camera d'aria cangiante! Grazie!
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